Pur senza che ce ne siamo resi conto, sono ormai anni che abbiamo a che fare con l’intelligenza artificiale: la troviamo nella modalità in cui Google ci restituisce i risultati di una ricerca e persino nelle playlist disponibili su Spotify e Netflix. Solo recentemente, però, da quando questa si è fatta generativa, e quindi ha iniziato a produrre testi, immagini e suoni, seguendo processi automatizzati, abbiamo iniziato a dubitare di tale tecnologia e, in particolare, della componente etica correlata a ciò che essa genera. Ciò è dovuto, almeno in parte, alla parola che utilizziamo per identificare questo strumento, intelligenza, che, di concerto all’infinito numero di scenari apocalittici rappresentati dalla fantascienza, ci porta a classificare questa nuova tecnologia come un’entità pensante, capace di sostituirci e, quindi, meno artificiale di quanto effettivamente sia. Il nodo fondamentale della contemporaneità, però, non è solo educare l’intelligenza artificiale all’etica umana, ma anche educare le persone, e quindi i progettisti, al funzionamento di questo nuovo — e non così intelligente — strumento.Gli esseri umani sono dotati di diversi principi morali che ci aiutano a discernere tra giusto e sbagliato sulla base di pregiudizi cognitivi, positivi e negativi, che si manifestano non solo nei nostri comportamenti, ma anche nei nostri dati online. Le AI generative, invece, sono dotate di un’insieme di linee guida progettate per plasmare i contenuti che generano in modo che rispondano coerentemente a dei principi etici installati, a monte, dai programmatori. Tuttavia, poiché i nostri dati sono la base di apprendimento di sostanzialmente tutti gli algoritmi di machine learning, l'AI ha il potenziale di amplificare i pregiudizi negativi presenti online, bypassando i principi logici delle istanze impostagli. Per questa ragione, sempre più risorse economiche e intellettuali vengono impiegate per sviluppare algoritmi in grado di effettuare una selezione delle fonti ponderata, non solo sull’analisi e sulla valutazione della forma, ma anche dei contenuti. É importante notare dunque che, per far sì che l’AI possa davvero esprimere a pieno l’enorme potenziale per le discipline del progetto, dovrà essere ben evidente la sua stessa natura semantica, acritica e autonoma. Proprio come è successo con la transizione digitale, infatti, l’intelligenza artificiale ha le potenzialità per rivoluzionare ulteriormente le discipline del Design, e, in particolare, dell’Exhibit Design e dell’Editoria. “Con l’avvento delle tecnologie non viene cancellata la visione fisica delle mostre, dei musei, o dei giornali, ma, ha aggiunto ad essa uno spazio digitale che risulta essere complementare ad esse, fornendo tecnologie e servizi per migliorare l’esperienza delle persone, creando uno spazio alternativo in cui i vari attori culturali possono interagire tra di loro” (Teece, 2018).

Onlife: la società dell’ AI e le sue implicazioni

Camilla Giulia Barale;Daniele Rossi
In corso di stampa

Abstract

Pur senza che ce ne siamo resi conto, sono ormai anni che abbiamo a che fare con l’intelligenza artificiale: la troviamo nella modalità in cui Google ci restituisce i risultati di una ricerca e persino nelle playlist disponibili su Spotify e Netflix. Solo recentemente, però, da quando questa si è fatta generativa, e quindi ha iniziato a produrre testi, immagini e suoni, seguendo processi automatizzati, abbiamo iniziato a dubitare di tale tecnologia e, in particolare, della componente etica correlata a ciò che essa genera. Ciò è dovuto, almeno in parte, alla parola che utilizziamo per identificare questo strumento, intelligenza, che, di concerto all’infinito numero di scenari apocalittici rappresentati dalla fantascienza, ci porta a classificare questa nuova tecnologia come un’entità pensante, capace di sostituirci e, quindi, meno artificiale di quanto effettivamente sia. Il nodo fondamentale della contemporaneità, però, non è solo educare l’intelligenza artificiale all’etica umana, ma anche educare le persone, e quindi i progettisti, al funzionamento di questo nuovo — e non così intelligente — strumento.Gli esseri umani sono dotati di diversi principi morali che ci aiutano a discernere tra giusto e sbagliato sulla base di pregiudizi cognitivi, positivi e negativi, che si manifestano non solo nei nostri comportamenti, ma anche nei nostri dati online. Le AI generative, invece, sono dotate di un’insieme di linee guida progettate per plasmare i contenuti che generano in modo che rispondano coerentemente a dei principi etici installati, a monte, dai programmatori. Tuttavia, poiché i nostri dati sono la base di apprendimento di sostanzialmente tutti gli algoritmi di machine learning, l'AI ha il potenziale di amplificare i pregiudizi negativi presenti online, bypassando i principi logici delle istanze impostagli. Per questa ragione, sempre più risorse economiche e intellettuali vengono impiegate per sviluppare algoritmi in grado di effettuare una selezione delle fonti ponderata, non solo sull’analisi e sulla valutazione della forma, ma anche dei contenuti. É importante notare dunque che, per far sì che l’AI possa davvero esprimere a pieno l’enorme potenziale per le discipline del progetto, dovrà essere ben evidente la sua stessa natura semantica, acritica e autonoma. Proprio come è successo con la transizione digitale, infatti, l’intelligenza artificiale ha le potenzialità per rivoluzionare ulteriormente le discipline del Design, e, in particolare, dell’Exhibit Design e dell’Editoria. “Con l’avvento delle tecnologie non viene cancellata la visione fisica delle mostre, dei musei, o dei giornali, ma, ha aggiunto ad essa uno spazio digitale che risulta essere complementare ad esse, fornendo tecnologie e servizi per migliorare l’esperienza delle persone, creando uno spazio alternativo in cui i vari attori culturali possono interagire tra di loro” (Teece, 2018).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11567/1265418
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